In vista dell’imminente elezione del nuovo Presidente della Repubblica ci confrontiamo con il Prof. Francesco Clementi, Associato di Diritto Pubblico Comparato presso l’Università degli Studi di Perugia, sulle sfide istituzionali che la fine di questo settennato pone.
Professor Clementi, nell’arco del suo settennato il Presidente Mattarella ha esercitato appieno le sue funzioni di garanzia del sistema e degli equilibri istituzionali. Quale bilancio possiamo trarre?
Se devo dirlo in una battuta, direi – senza alcun dubbio – un bilancio estremamente positivo.
Il settennato del Presidente Mattarella è stato, infatti, davvero importante perché, anche semplicemente scorrendo con la mente questi anni, si capisce bene quanta fatica possa aver fatto per tenere unito – in piena solitudine, come sempre avviene per chi ha quel ruolo – il Paese, consentendogli di superare al meglio le numerose, diverse e asimmetriche avversità alle quali lo stesso è stato sottoposto.
Basti pensare, semplicemente dal punto di vista politico, al fatto che ha dovuto gestire, in sette anni, cinque diversi governi (Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II, Draghi) ed una tornata elettorale nazionale, quella del 2018, che ha restituito un Parlamento frammentato, inesperto e fragile; tale da costringerlo a compiere tutti i passi necessari – prendendo per mano appunto la politica e molti suoi rappresentanti – per far entrare tanti dei suoi eletti, appunto in senso non formale, nelle istituzioni; facendo loro comprendere ed apprezzare il senso della funzione costituzionale che essi esercitano, nonché la densità che la stessa esprime nel momento in cui il Paese affronta prove difficili.
Così, dal punto di vista economico, è stato il Presidente che, pari forse all’ultima fase del settennato di Napolitano, si è trovato a dover contribuire ad aiutare i vari Governi ad affrontare una forte crisi economica con un impoverimento generalizzato, in una radicalizzazione delle fratture sociali che ha determinato collettivamente l’aumento esponenziale di nuove povertà – naturalmente non soltanto economiche – e nuove solitudini. Così come lo sradicamento da interi territori, soprattutto dalle aree interne, di molte prospettive di sviluppo che sarebbero state promosse, innanzitutto, dagli esponenti delle giovani generazioni, migrati per necessità. Giovani che ormai sono una rarità, se posso dirla così, in un Paese che, come ha più volte denunciato lo stesso Presidente Mattarella, fa della denatalità un punto di forza e non, al contrario, un punto di grave debolezza.
Credo, infine, che sia del tutto superfluo segnalare il ruolo chiave, anche di supporto etico-morale – vorrei dire spirituale – che ha esercitato il Presidente Mattarella durante la pandemia Covid, manifestando in prima persona, e con la sua attività, una sorta di pedagogia istituzionale collettiva che ha aiutato moltissimi italiani, prima che il Paese stesso inteso come ordinamento, ad interpretare questo tempo sospeso ed incerto, ricco di paure ed anche drammaticamente di lutti per tanti, nel modo più solidale, prossimo e, al tempo stesso, prospettico possibile. Il tutto senza cedere di un millimetro – a differenza, se posso, di altri presidenti – né a forme stucchevoli di retorica barocca avulsa dal nostro tempo, né a forme che avessero intenti populistici, tali cioè da vellicare gli istinti sociali più superficiali della nostra società.
Per non parlare, poi, di come ha salvaguardato, in ogni momento, in modo informale prima che formalizzato, l’ancoraggio del nostro Paese e delle nostre Istituzioni alla nostra tradizione storico-istituzionale, garantendo e proteggendo, in primis nel e con l’Unione europea e i partners della Nato, le nostre scelte di fondo, tanto sul piano delle relazioni internazionali quanto su quelle di politica economica.
Insomma, davvero non di poco momento sono stati lo stile e i comportamenti del Presidente Mattarella. Per questo, ictu oculi, ritengo il bilancio della presidenza Mattarella estremamente positivo.
Negli ultimi mesi si è animato il dibattito sul “semestre bianco”: lo scorso febbraio il Presidente Mattarella ha richiamato un messaggio del Presidente Segni sulla sua eliminazione e anche in Parlamento è stata avanzata qualche proposta analoga. La ratio che sottende questo istituto è ancora valida?
Sul punto, capisco la ratio di allora, ma sono convinto che il timore dei costituenti di un Presidente autoritario, che avrebbe potuto sciogliere le Camere per farne eleggere di più compiacenti e sperare in un secondo mandato, ormai – anche grazie alla presenza di un sistema di interdipendenze reciproche euro-nazionali – renda questo timore superato. In questo senso, nel concordare comunque sulla delicatezza del tema – che mette innanzitutto alla prova la maturità delle istituzioni e delle forze politiche del nostro Paese – concordo appieno con quanto più di recente in tema sottolineato dal Presidente Mattarella.
Il punto dirimente rimane, quindi, la rieleggibilità?
Sì, ancora una volta, direi di sì. Peraltro, ritenendo la rielezione in sé della figura presidenziale, pur legittima, un elemento distopico tale da rischiare di stravolgere il nostro ordinamento costituzionale in modo surrettizio, facendolo precipitare in un’altra forma di governo, anche qui concordo rispetto a quanto ha più volte ha dichiarato il Presidente Mattarella riguardo ad una sua recisa contrarietà ad un bis che, tuttavia, ad oggi, non mi sento proprio di escludere a priori. Non lo escludo nonostante i ripetuti “No che aiutano a crescere” (per citare il noto libro di Asha Philips) che il Presidente Mattarella ha indirizzato alle forze politiche per spronarle a non impigrirsi nel trovare una soluzione adeguataa questi tempi incerti e difficili: basti pensare alla questione Ucraina, cioè ai “venti di guerra” sul territorio europeo, prima che alla fragilità di un sistema Paese che deve uscire dalla pandemia e assolvere appieno, attuando punto per punto, gli impegni presi in ragione del PNRR.
In una sua recente intervista aveva individuato alcuni possibili rimedi per garantire l’integrità del collegio elettorale che poi, tramite il decreto legge n. 2/2022 – successivo ad un’ordinanza della Corte che, rispondendo al conflitto urgente a lei sottoposto, sollecitava la Camera ad occuparsi della questione – sono stati adottati. Per quali ragioni ha sostenuto l’importanza di un intervento del genere?
Ho sempre guardato, in questi due anni, al tema dell’impatto della pandemia Covid sulla funzionalità delle nostre istituzioni con grande attenzione e, se posso dirla così, con viva apprensione. Perché questa pandemia è stata così rilevante che, in non pochi momenti, essa è apparsa come un valido strumento per cercare di stressare in modo eccessivo – s’intende, pur con buone intenzioni da parte dei protagonisti – le regole costituzionali a presidio del nostro ordinamento: dalle fonti del diritto, al rapporto fra Stato e Regioni, alle dinamiche politico-istituzionali sul piano della forma di governo e del sistema dei partiti. E l’elezione del Presidente della Repubblica è l’epitome di questo rischio.
Per cui mi è parso doveroso, quando me ne è stata data l’opportunità, segnalare i rischi che la pandemia poteva determinare sulla composizione del collegio presidenziale, portando per distrazione o noncuranza ad accettare l’assenza dei parlamentari positivi (o quarantenati), facendo finta che non esistessero, impedendo loro cioè di accedere al seggio in ragione di quanto prescritto dal d.l. 229 del 2021: testo che, si ricorderà, in ragione dell’obbligo di green pass per il trasporto pubblico, inseriva un requisito in più al voto degli elettori presidenziali positivi, quarantenati o non vaccinati che non vivono a Roma, a partire da quelli delle isole; impendendo loro, appunto, di votare.
Il quorum fissato dalla Costituzione per l’elezione del Capo dello Stato determina, invece, un dovere e un diritto. Il dovere di proteggere il mandato parlamentare dei deputati, che nell’elezione del Capo dello Stato contiene una dimensione costituzionale più rilevante, una funzione repubblicana. E il dovere implica, del pari, il diritto dei grandi elettori di poter votare.
Quindi, al netto del fatto che un voto a distanza – in sicurezza e garanzia, secondo i principi dell’art. 48 Cost. – sarebbe stato la via maestra, come altri Parlamenti hanno dimostrato durante questi due anni, era doveroso comunque metterli in condizione di votare, anche per evitare il paradosso di elettori presidenziali ai quali è lo stesso Parlamento, per il tramite del Governo, ad imporre di non essere presenti e, dunque, di non poter assolvere il loro diritto-dovere costituzionale. Non a caso, dopo l’ordinanza della Corte costituzionale, investita d’urgenza da alcuni di questi elettori presidenziali, il Governo ha opportunamente adottato il d.l. n. 2 del 2022, che ha previsto una deroga per questi soggetti esclusivamente per il voto per il Capo dello Stato.
Peraltro – aggiungo – la partecipazione all’elezione del presidente della Repubblica non è un voto ordinario, bensì una funzione costituzionale, espressa peraltro in un semplice voto, posto che si tratta di un mero seggio elettorale, pari a quello delle recentissime elezioni suppletive parlamentari di Roma centro, dove tutti hanno votato senza alcun tampone e/o requisito in più rispetto alla libera circolazione con mascherina FFP2.
Era necessario, insomma, un’eccezione specifica perimetrata sul voto dei grandi elettori per l’elezione del Presidente della Repubblica. E così – per fortuna – è stato; innovando, appunto, con una delle soluzioni che si suggeriva, ossia l’introduzione – con il connesso allestimento, nel perimetro istituzionale della Camera dei Deputati – di un seggio ulteriore oltre quello dell’Aula, ossia in modalità “drive-thru” nel parcheggio di Montecitorio, consentendo a tutti i positivi e i quarantenati di poter votare, se lo vogliono.
Nel suo discorso di fine anno il Presidente Mattarella ha evidenziato, fra le altre cose, che ciascun Presidente deve «spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale» e «salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore». Sono queste le linee guida da seguire nell’individuazione del prossimo Presidente?
La fragile composizione politica dell’attuale Parlamento, con la presenza di un governo straordinario di larghissime e politicamente disomogenee intese, presieduto da Mario Draghi – nato per fare fronte in modo adeguato e potente alla doppia crisi, quella pandemica e quella economica, la cui spirale negativa ha preso il Paese da quasi due anni, e che è chiamato a portare avanti, con precisione e attenzione, innanzitutto l’attuazione del PNRR –, pone un problema chiaro: quello di forze politiche che, laddove eleggessero una figura come Mario Draghi come Presidente della Repubblica, dovrebbero poi trovare un Presidente del Consiglio del pari istituzionalmente autorevole, in termini di standing interno ed internazionale, capace di garantire – innanzitutto a Bruxelles, con i partners europei – sia l’attuazione puntuale e specifica della seconda fase delle misure del PNNR, perché esperto conoscitore delle Istituzioni di questo Paese, sia di “confortare” le forze politiche e i parlamentari – in quanto attento e consapevole delle dinamiche politiche più profonde che albergano nella nostra politica – nel garantire una navigazione senza veri scossoni politici né scioglimenti anticipati nell’ultimo anno di termine naturale della legislatura.
Non poco, insomma.
In questo senso, la responsabilità che hanno le forze politiche è sempre più chiara: quella di dimostrare al Paese la propria efficacia, funzionalità, consapevolezza del ruolo che, tramite loro, ha la politica nella società, eleggendo come Presidente della Repubblica italiana una figura saggia, di esperienza, riconosciuta ed autorevole, in Italia come nel mondo. Perché è di questo che, io credo, al fondo, abbiamo davvero bisogno.
Giuseppe Donato
Ricercatore TDA in Istituzioni di Diritto Pubblico
Università degli Studi di Messina
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