Il costituzionalismo è vettore di principi e regole che traggono origine da una precisa visione del mondo e delle relazioni sociali, capaci di tradursi in vincoli per gli ordinamenti giuridici. È una corrente storica e valoriale che, mediante il concetto di dignità, pone l’accento sull’importanza della persona situata nella società.
Benché la Carta del ‘48 non affermi esplicitamente il valore della dignità, esso trova fondamento nei principi personalista e solidarista, di eguaglianza e lavorista. Grazie alla natura “presbite” della Costituzione, improntata a una visione alta dei principi, dei valori e delle regole su cui fondare la società, il collegamento fra queste norme e il “meta-principio” della dignità consente l’interpretazione evolutiva dei diritti sanciti nel Testo fondamentale.
Dignità e lavoro costituiscono il motore del costituzionalismo del Secondo dopoguerra perché rinnovano il senso dei principi liberali della libertà e dell’eguaglianza, collocandoli in un contesto in cui l’attenzione è riservata alla condizione della persona nella sua dimensione privata (la dignità) e nel mondo delle relazioni sociali (il lavoro, la dignità sociale). Com’è noto, il cittadino, oltre a essere titolare del dovere di lavorare, è assistito dal medesimo diritto “potenziale”, attività che peraltro consente la partecipazione alla vita democratica del Paese. L’architettura costituzionale, infatti, riserva al lavoro una posizione preminente, tanto che concorre alla definizione della democrazia come sociale.
Tale definizione, tuttavia, è sottoposta a una forte tensione a causa della costante evoluzione dell’ordinamento giuridico, sociale ed economico. Infatti, a partire dagli anni Settanta, nonostante l’avvento dello Statuto dei lavoratori, si è aperta una faglia nella struttura dello Stato sociale, acuita dalle politiche neoliberali degli anni Ottanta e bruscamente collassate negli anni Novanta, quando sono stati affermati, anche nelle economie domestiche, i principi della finanza internazionale e della globalizzazione economica.
Il problema della resistenza all’effettività dei diritti sociali ha trovato terreno fertile nell’ordinamento comunitario, costruito sulla preminenza dei principi della concorrenza del mercato e della libera circolazione delle merci e dei capitali. Si è giunti ad affermare, per tale via, la prevalenza della vocazione separatista fra l’Europa dei diritti e quella economico-finanziaria a tal punto che le politiche economiche neoliberali sono state recepite dall’Italia negli artt. 81, 97 e 119 Cost. (1) verso i quali anche la giurisprudenza costituzionale fatica a trovare un indirizzo interpretativo uniforme (2).
Nel cruento scontro fra Stato e mercato, fra i supremi principi del costituzionalismo e le esigenze del capitalismo, il prezzo più caro è riservato ai lavoratori: infatti, il valore dignitario del lavoro quale strumento per sviluppare la personalità ha ceduto il passo ai principi della globalizzazione. Ne sono espressione le morti bianche, il lavoro in nero, i sempre più frequenti lavori degradanti gravati dall’assenza dei presidi minimi di sicurezza, dall’imposizione di orari impietosi corrisposti con salari indegni, dallo sfruttamento della manodopera, dimentichi degli articoli 36 e seguenti della Costituzione.
La crisi del principio giuslavoristico sancito in Costituzione è stata in parte aggravata dalle non numerose pronunce del Giudice costituzionale, il quale avrebbe forse dovuto intervenire più spesso per colmare le lacune dettate dalle difficoltà interpretative delle norme in materia di lavoro. Benché la Consulta abbia innalzato al novero di principi fondamentali i diritti sociali (3), ha tuttavia affermato che quelli sociali sono diritti finanziariamente condizionati (4), la cui effettività resta comunque legata al nucleo irriducibile rappresentato dalla dignità umana (5).
La contrazione del principio lavorista, accanto alla progressiva perdita di effettività dei diritti sociali riconosciuti dalla Costituzione, è una delle cause dell’indebolimento dei valori dello Stato democratico. Per cercare di ovviare alla recessione che reca nocumento alla posizione dei singoli, si auspica che gli organi investiti del potere decisionale si impegnino, anche attraverso nuovi paradigmi politici, affinché la dignità torni a rappresentare l’obiettivo ultimo dell’azione degli organi statali.
Oggi, più che mai, sembra importante porre l’accento sulla circostanza che il lavoro deve (ancora) essere considerato principio di equilibrio dell’organizzazione sociale, elemento di sviluppo della personalità, fattore che assicura il rispetto della dignità dell’essere umano. Esso, infatti, dovrebbe essere inteso quale parametro di effettività della tenuta della Costituzione, ovvero dei supremi principi del costituzionalismo, onde evitare che i diritti faticosamente conquistati e mantenuti in oltre settant’anni di storia costituzionale retrocedano e che il modello di Stato sociale sino ad ora conosciuto non sia (più) in grado di esplicare i propri effetti.
Alessandra Mazzola
Dottoranda in Il diritto dei servizi nell’ordinamento italiano ed europeo
Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
(1) (l. cost. 1/2012)
(2) (Corte cost., sentt. nn. 310/2013; 88/2014; 10, 70 e 178/2015)
(3) (compreso il diritto al lavoro, Corte cost., sent. n. 455/1990)
(4) (Corte cost., sent. n. 416/1995)
(5) (Corte cost., sentt. nn. 203/2008; 341/2009; 330/2011; 187/2012; 275/2016).