di Alfea Trimarchi
Dottoranda di ricerca in Scienze giuridiche – Diritto costituzionale e pubblico
Università di Messina
1. Introduzione
Alcune vicende di attualità, intersecando, per le loro implicazioni, diversi rami del diritto pubblico e l’esercizio di potere politico, appaiono di particolare interesse per il costituzionalista. Il recente caso che ha coinvolto il Ministero della Giustizia e diversi organi giudiziari circa l’esecuzione di un mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale (di seguito ICC) nei confronti di Osama Elmasry Njeem, capo della polizia giudiziaria libica e responsabile della gestione dei centri di detenzione locali, rientra a pieno titolo in questo novero. La scadenza del termine assegnato dalla ICC all’Italia per presentare osservazioni in ordine alla ritenuta violazione degli obblighi di cooperazione imposti dallo Statuto di Roma (di seguito, ICC St.), offre l’occasione per tornare a riflettere sulla vicenda che, carica di implicazioni politiche, si presta facilmente a semplificazioni di bandiera. Conviene, dunque, preliminarmente, mettere ordine tra gli episodi, per poi procedere ad una breve analisi dei relativi risvolti giuridici.
2. Il caso: un’articolata vicenda istituzionale
In data 2 ottobre 2024 il Procuratore presso la ICC de L’Aja chiedeva, ex art. 58, ICC St. ratificato in Italia con l. n. 232/1999, l’emissione di un mandato di arresto nei confronti di Osama Elmasry Njeem, cui si contestava la commissione di una fitta serie di crimini di guerra e contro l’umanità (v. artt. 5, 7 e 8, ICC St.).
Il mandato d’arresto veniva emesso dalla Prima camera preliminare presso la ICC il 18 gennaio 2025, avendo l’organo ritenuto sussistenti i due requisiti imposti dal predetto art. 58, ossia fumus boni iuris ed esigenza cautelare (nel caso di specie, “garantire la comparizione della persona al processo”, ex art. 58, c. 1, lett. b), n. i), ICC st.). La Camera ha, inoltre, ritenuto ricorrente la condizione della giurisdizione, che la ICC deve accertare in qualsiasi giudizio ex art. 19, c. 1, ICC St.
Può essere utile soffermarsi brevemente sul punto. In via generale, la giurisdizione della ICC (1) è limitata: ratione materiae, ai crimini elencati dall’art. 5, ICC St.; ratione temporis, ex art. 11, ICC St., ai crimini commessi durante la vigenza dello Statuto; ratione loci, ex art. 11, ICC St., ai crimini commessi sul territorio ovvero da cittadini di uno Stato firmatario del Trattato ovvero che abbia preventivamente accettato la giurisdizione della Corte. Nonostante la Libia non abbia firmato il Trattato istitutivo della ICC o, comunque, dichiarato di accettarne la giurisdizione, questa è stata ritenuta parimenti sussistente, da due componenti della Corte su tre. Ciò poiché i crimini contestati all’accusato sarebbero stati “occasionati” dalla situazione di crisi, comunemente nota come prima guerra civile libica, esplosa nel febbraio del 2011 (2); situazione che aveva indotto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad adottare all’unanimità, il 27 febbraio 2011, ex art. 41 dello Statuto ONU, la risoluzione n. 1970/2011 (3) con cui, tra l’altro, la si deferiva al Procuratore presso la ICC (4), fondando la giurisdizione della Corte per i crimini commessi in tali occorrenze ai sensi dell’art. 13, lett. b), ICC St.
Lo stesso 18 gennaio 2025 la Cancelleria della ICC presentava la richiesta di arresto a sei Stati firmatari dello Statuto, tra cui l’Italia, specificando altresì le circostanze raccolte dalla Procura circa i movimenti dell’accusato, da cui si evinceva la sua presenza in area Schengen (5).
L’accusato veniva quindi localizzato a Torino e la Squadra Mobile DIGOS ne eseguiva l’arresto il 19 gennaio 2025, trasmettendo gli atti alla Corte d’Appello di Roma, indicata quale autorità giudiziaria competente ex artt. 4, c. 2 e 15, l. n. 237/2012 (di adeguamento della legge italiana allo Statuto della ICC) per l’esecuzione delle misure cautelari, nonché al Ministero della Giustizia, che ex artt. 2 e 4, c.1, l. 237/2012, cura “in via esclusiva” “i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale”, ne riceve le richieste e vi “dà corso”.
Il 21 gennaio 2025 la Corte d’Appello di Roma disponeva con ordinanza, adottata ex art. 11, c. 2, l. 237/2012, la scarcerazione di Elmasry (6). Il cuore argomentativo del provvedimento ruota attorno alla ritenuta irritualità dell’arresto di P.G., che la disciplina del mandato d’arresto internazionale non prevede espressamente. Disciplina, secondo la Corte, in sé completa ed autosufficiente, non suscettibile di integrazioni di diritto di interno, cui l’art. 3, l. n. 237/2012 rinvia, “se non diversamente disposto”, “in materia di consegna, di cooperazione e di esecuzione di pene” (il riferimento è, nel caso specifico, alla disciplina dell’estradizione passiva, prevista dall’art. 716, c.p.p.). La Procura Generale presso la Corte d’Appello, cui gli atti venivano trasmessi ai sensi del predetto art. 11, l. 237/2012, ed alla quale la Corte chiedeva di pronunciarsi in ordine alla istanza difensiva presentata nell’interesse di Elmasry, condivideva la ricostruzione della Corte (7).
A fronte anche del silenzio del Ministero della Giustizia (8), l’arrestato veniva rilasciato lo stesso 21 gennaio 2025, per essere rimpatriato con provvedimento di espulsione del Ministero dell’Interno, adottato ex art. 13, c. 1, del TU Immigrazione (D.lgs. n. 286/1998).
Con successivo provvedimento del 24 gennaio 2025 la Prima Camera Preliminare disponeva che il mandato di arresto del precedente 18 gennaio 2025 fosse desecretato e ne correggeva degli “errori”. In particolare, precisava che i crimini contestati si ritenevano commessi a partire dal 15 febbraio 2015, piuttosto che, come precedentemente indicato, dal 15 febbraio 2011 (9). Al provvedimento si allegava, inoltre, la dissenting opinion della giudice María del Socorro Flores Liera (10). Quest’ultima, in estrema sintesi, riteneva che difettasse il requisito della giurisdizione internazionale per i crimini contestati poiché non sarebbe stato sufficientemente provato che il periodo e il quadro politico di riferimento fossero legati alla prima guerra civile libica, iniziata nel febbraio del 2011 e conclusasi con la deposizione e la morte del Generale Muʿammar Gheddafi il 20 ottobre dello stesso anno. La devoluzione alla giurisdizione della Corte, formulata dal Consiglio di Sicurezza ONU nella già menzionata risoluzione n. 1970/2011, avrebbe dovuto considerarsi, invero, circoscritta a tali specifici occorsi e non “senza limiti” (11).
Nel frattempo, il 28 gennaio 2025, il Ministro veniva iscritto nel registro delle persone sottoposte ad indagine, per favoreggiamento ed omissione di atti d’ufficio (12).
Il 5 febbraio 2025 i Ministri della Giustizia e dell’Interno venivano uditi alla Camera e, poco dopo, al Senato, per riferire sulla vicenda.
Con provvedimento del 17 febbraio 2025, la Prima Camera Preliminare chiedeva chiarimenti all’Italia ipotizzando il mancato di rispetto di obblighi scaturenti dal trattato istitutivo della ICC e, in particolare degli obblighi di cooperazione posti, in caso di richiesta della Corte, dagli artt. 86 e art. 87, c. 1, ICC St. La richiesta è atto preliminare alla rimessione della questione al Consiglio di Sicurezza ai fini dell’eventuale accertamento di responsabilità ex art. 87, c. 7, ICC St. All’Italia era assegnato il termine di un mese, scaduto inutilmente lo scorso 17 marzo 2025, per presentare osservazioni. Il 25 febbraio 2025 il Procuratore presso la ICC depositava una nota con cui chiedeva che si dichiarasse la mancata cooperazione, nella vicenda in esame, dell’Italia, poiché ostativa all’esercizio delle funzioni della Corte.
3. Osservazioni
Così tratteggiato il quadro, può procedersi ad una, sia pure sommaria, ricostruzione dei profili costituzionalmente rilevanti della vicenda. Appare utile, a tal fine, muovere dal contenuto dell’intervento in Parlamento del Ministro della Giustizia.
Da un lato, è stato contestato il fondamento giuridico del mandato di arresto, che sarebbe stato caratterizzato da rilevanti imprecisioni circa il tempus commissi delicti dei crimini contestati all’accusato. Si è evidenziato, in particolare, che nel mandato trasmesso al Ministero il 18 gennaio 2025, l’inizio delle azioni criminali veniva fatto risalire talvolta al 2011, talvolta al 2015. Si precisava, inoltre, come le revisioni effettuate con il provvedimento del 25 febbraio 2025, avessero portata ben più penetrante rispetto ad una mera correzione formale, proprio perché incidenti sulla data di inizio della “reato continuato”, oltre che sull’identificazione di taluni crimini.
A fortiori, si richiamava, il contenuto della dissenting opinion allegata alla seconda versione del mandato che, come visto, si appuntava su un ritenuto difetto di giurisdizione della ICC. Ha aderito, poi, alla interpretazione offerta dalla Corte d’Appello delle norme esecutive poste dalla l. n. 237/2012, ritenendo illegittimo l’arresto di P.G. nell’ipotesi di esecuzione di un mandato di arresto internazionale.
Per altro verso, si è rivendicato, poi, un ruolo non meramente esecutivo, ma intrinsecamente “politico” nella gestione dei rapporti con gli organi della Corte. Sarebbe, in particolare, l’art. 2, l. n. 237/2012, a ritagliare uno spazio valutativo in capo al Ministro della Giustizia, riconoscendogli la prerogativa di curare i rapporti con gli organi della ICC e di dare esecuzione e corso alle istanze da questa avanzate.
Il Ministro, inoltre, nella fase finale del suo intervento, riaffermava la piena legittimità, oltre che del suo proprio operato, anche delle scelte di politica legislativa avanzate dall’esecutivo in tema di riforma dell’ordinamento giudiziario, ventilando l’esistenza di una presunta intenzione di pressione politica di alcune aree della magistratura alla base delle indagini svolte nei suoi confronti.
Le radicali contestazioni mosse dal Ministro al contenuto del mandato di arresto, alla sua formulazione e alla sua chiarezza, tanto profonde da averlo indotto a ritenere la nullità del provvedimento, offrono due rilevanti spunti di riflessione (13).
In primo luogo, è lecito domandarsi se l’esecutivo, nella persona del Ministro della Giustizia, abbia effettivamente il potere di sindacare il contenuto di un provvedimento emesso da un’autorità giurisdizionale, senza compromissioni del principio di separazione dei poteri (14). D’altra parte, e a monte, appare necessario sottolineare come la ICC sia stata istituita ed operi sulla scorta di un Trattato internazionale, firmato e ratificato dall’Italia. Come è noto, la stipula di un Trattato, a maggior ragione se istitutivo di un organo giurisdizionale, implica l’attribuzione di quote di sovranità ad organi internazionali.
Si ponga mente, in quest’ottica, all’impianto argomentativo delle storiche sentenze nn. 348 e 349 del 2007, con cui la Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto la natura di fonte interposta al diritto internazionale pattizio, a seguito della riforma dell’art. 117, c. 1, Cost., operata con l. cost. n. 3/2001. In questa occasione, è stato precisato che il conflitto tra diritto interno e diritto internazionale pattizio si conclude con la prevalenza secondo. L’arretramento del diritto interno e della sovranità e, con essa, della Carta costituzionale, si arresta, tuttavia, di fronte alla tutela dei diritti inviolabili e dei principi fondamentali dell’ordinamento. Se tanto è vero, appare quantomeno dubbio che il potere esecutivo possa sovrapporsi alle valutazioni di un organo giurisdizionale internazionale, in casi in cui peraltro non viene in rilievo la violazione di diritti fondamentali dell’individuo (come, ad esempio, potrebbe ipotizzarsi ove la cooperazione richiesta dalla ICC avesse implicato, con la consegna dell’accusato, la sottoposizione a trattamenti inumani) bensì l’interpretazione e la applicazione di norme, sia pure di garanzia, strettamente procedurali e processuali.
In ultimo, il richiamo alla dissenting opinion offre un’occasione per tornare a riflettere sulla vexata quaestio della sua reale utilità e funzione nell’ambito del funzionamento di organi collegiali (15). Seppure rafforzativa di una decisione giurisdizionale sotto il profilo della trasparenza, e seppure induca anche l’opinione pubblica ad un più profondo dialogo, la pubblicazione della dissenting opinion rompe l’unitarietà del decisum e della posizione del collegio. E, nonostante non sia vincolante, può basare o concorrere a consolidare critiche di merito alla decisione, anche oltre l’intenzione del relativo autore.
4. Conclusioni
In chiusura delle considerazioni svolte, senza alcuna pretesa di completezza (16), può essere utile evidenziare come i termini della parte finale dell’intervento del Ministro della Giustizia si pongano nel solco di un acceso conflitto istituzionale, che non appare destinato a sopirsi a breve. Ora, se è vero che il conflitto è connotato, può dirsi irrinunciabile, del pluralismo (nella misura in cui, come concetto relazionale, presuppone alterità e separazioni), esso va necessariamente incanalato entro i toni non accusatori di un dialogo costruttivo, poiché adeguatamente argomentato. E non appare fuori luogo riferirsi all’esigenza che si faccia ritorno al rispetto di norme non scritte, ma in senso lato “convenzionali” di correttezza istituzionale e, più ancora, costituzionale (17).
NOTE
(1) Secondo la dogmatica processualista di diritto interno, si tratterebbe con maggiore esattezza di competenza. Tuttavia, lo Statuto discorre di “jurisdiction” e le due nozioni finiscono per coincidere, anche considerato la natura della “struttura giudiziaria caratterizzata da un’unica sede ed un unico giudice di primo grado”, V. FANCHIOTTI, Corte Penale Internazionale, voce, in Enc. Dir., Ann. II, 2008, 291. Per un approfondimento sul concetto di “complementarietà”, caratteristico della giurisdizione della ICC, v. AA. VV., Introduzione al Diritto Penale Internazionale, Torino, 2020, 29 ss.
(2) Warrant of Arrest, ICC, No.: ICC-01/11, Pre-trial Chamber, Par. II, 4.
(3) Sul punto cfr. R. FATTIBENE, Le risoluzioni dell’ONU sul caso libico tra intervento umanitario e ripudio della guerra, Rivista AIC, 2, 2011.
(4) S/RES/1970 (2011), punto 4, 2.
(5) Per una breve ricostruzione della prima fase della vicenda, conclusasi con il rimpatrio di El Masry cfr. qui.
(6) Consulta l’ordinanza a questo indirizzo.
(7) In senso critico v. G. VANACORE, La scarcerazione del generale libico Elmasry. Nota critica alla interpretazione resa dalla Corte di Appello di Roma sull’art. 11 della legge di cooperazione tra l’Italia e la Corte Penale Internazionale, par. 2, e M. CAIANELLO, C. MELONI, Caso Almasri: una discutibile interpretazione della legge di cooperazione dell’Italia con la CPI ha portato alla scarcerazione del primo ricercato arrestato sul suolo europeo nell’ambito delle indagini in Libia, par. 3, entrambi in http://www.sistemapenale.it.
(8) Il quale si limitava, invero, alla diffusione di una nota in cui esplicitava di stare valutando la “trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’articolo 4 della legge 237 del 2012” (cfr. qui).
(9) V. Corrected version of the ‘Warrant of Arrest for Mr Osama Elmasry / Almasri Njeem’ dated 18 January 2025 (ICC- 01/11-149-US-Exp), including Dissenting Opinion of Judge Socorro Flores Liera, 4: “[…] 2. The Chamber has detected a number of errors in the Warrant and hereby corrects them as follows: […]
– At paragraph 100: […] replacing ‘2011’ with ‘2015’ in line 7;
– At paragraph 101: replacing ‘2011’ with ‘2015 in line 4;
– At page 34 […] replacing ‘2011’ for ‘2015’ in lines 7 and 15”.
(10) Warrant of Arrest, ICC, No.: ICC-01/11, 37 ss.
(11) “Although it is difficult to indicate a precise time frame, referrals by the Security Council are not without limits”, Warrant of Arrest, ICC, No.: ICC-01/11, Dissenting opinion, par. 5, 37.
(12) Cfr. qui.
(13) Camera dei Deputati, Resoconto stenografico n. 422, seduta di mercoledì 5 febbraio 2025, 3-7.
(14) Tanto anche al netto di considerazioni più penetranti circa l’interpretazione della disciplina posta dalla l. n. 237/2012, per le quali v. G. VANACORE, La scarcerazione del generale libico Elmasry, e M. CAIANELLO, C. MELONI, Caso Almasri: una discutibile interpretazione della legge di cooperazione dell’Italia con la CPI, entrambi cit., oltre che, anche quanto al profilo della rilevanza della univoca individuazione del dies a quo della continuazione, A. NAPPI, Caso Almasri: il Governo in Parlamento, in http://www.sistemapenale.it.
(15) Cfr. in senso ampiamente positivo, C. MORTATI (a cura di), Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali ed internazionali, Milano, 1964.
(16) Le considerazioni svolte non esauriscono i profili di interesse della vicenda esaminata. Per un approfondimento sul tema della “ragion di Stato” cfr. G. LABRINI, Errori ed orrori nella vicenda Almasri: il ruolo del Ministro della Giustizia e i limiti della ragion di Stato, in Osservatorio AIC, 2025, 2, 41 ss.
(17) Cfr. S. ROMANO, Diritto e correttezza costituzionale, in Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia, 1909, 1, 485 ss.
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