“C’è un legislatore a Firenze”. Prime note a margine della legge regionale toscana sul fine vita.

di Nicoletta Castellano

Dottoranda di ricerca in Diritto costituzionale

Università di Roma “La Sapienza”

Il ruolo di supplenza nella tutela dei diritti fondamentali operato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 242/2019 e n. 135/2024 in materia di suicidio assistito (originate a partire dalle ordinanze Cappato e Cappato-bis) ha destato dal torpore il legislatore (o quantomeno, un legislatore regionale) toscano, che in data 11.02.2025, approvava la prima legge in Italia in materia di suicidio medicalmente assistito. 

Opportune alcune considerazioni preliminari: il testo approvato dal Consiglio regionale non è il medesimo che era stato presentato con un’iniziativa popolare, bensì ha subito numerosi emendamenti, anche alla luce di una nuova giurisprudenza costituzionale del 2024, enucleata nella sentenza n. 135.

Ebbene, rispetto al testo presentato a livello di iniziativa popolare, che poi – come già ribadito – è stato emendato in più punti, la legge regionale fa esplicito riferimento alla legge n. 38/2010 in materia di “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” nel Preambolo e, di seguito, è stato aggiunto il “Considerato 01” che rammenta ciò che maggiormente risulta pregnante dall’analisi della querelle giurisprudenziale-legislativa: il rispetto dei diritti fondamentali, declinati nei profili della salute e, soprattutto, della dignità umana nel prisma del diritto costituzionale. 

In questa sezione dei “Considerato”, dunque, viene esplicitamente citata la Costituzione e si fa riferimento anche all’aspetto psicologico e spirituale, sicuramente provato sia per i soggetti attivi sia per i cari di coloro che si approcciano alla pratica eutanasica assistita, asserendo il testo legislativo che le strutture pubbliche, oltre a garantire le prestazioni sanitarie, devono procedere anche alla garanzia di fornire assistenza spirituale o laica.

La particolarità principale, a livello di giurisprudenza costituzionale, si pone nel fatto che la sentenza n. 135/2024 ha specificato ed ampliato la portata della prima sentenza Cappato: se era già stato appurato dal Giudice delle leggi che fosse incostituzionale l’art. 580 c.p. nella parte in cui non prevedeva la possibilità di accedere al suicidio medicalmente assistito, anzi addirittura incriminandolo – sic stante littera legis – addirittura il seguito del 2024 ha fatto in modo che venissero equiparate le condizioni giuridiche di coloro che già sono sottoposti a trattamenti di sostegno vitale e di coloro che ancora non ne beneficiano, ma che possono decidere di rifiutare in ogni momento.

Ebbene, per la prima volta in Italia, il suicidio assistito è legge.

Regionale, non statale, ma è stato cristallizzato a livello legislativo il principio giurisprudenziale che da ormai anni impegna il Palazzo della Consulta.

A livello di tecnica normativa, pare quasi provocatoria questa anomala approvazione di una legge regionale su materie che dovrebbero essere trattate a livello statale, in virtù del riparto di competenze ai sensi dell’art. 117 Cost.

Procedendo gradualmente, se è vero che il comma 2, lett. m) dell’art. 117 Cost. riserva allo Stato la competenza assoluta in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, d’altronde il comma 3 dell’art. 117 Cost. prevede che le Regioni abbiano competenza concorrente sulla tutela della salute, potendo queste determinare in modo dettagliato i principi enunciati a livello statale.

Ma qual è il livello minimo stabilito dalla legislazione nazionale? Non è stato il legislatore a trattare l’argomento: lo ha fatto, ancora una volta, la Corte.

Davanti alla reiterata inerzia del Parlamento, ha agito la Corte costituzionale stabilendo i principi di base in materia di eutanasia (cristallizzati nelle due sentenze nn. 242/2019 e 135/2024) e, poi, la normativa di dettaglio è intervenuta a livello regionale dalla Toscana.

Tuttavia, tutto tace a livello statale.

Un altro punto che particolarmente colpisce è relativo alla clausola sulla cedevolezza della presente normativa regionale rispetto all’eventualità che venga promulgata una legge statale organica in materia.

Si tratta di un principio fissato al punto n. 7 dei “Considerato”: viene esplicitamente affermato che potrà essere riconosciuta cedevolezza rispetto ad un’altra norma statale in materia, che ne fissi i principi fondamentali.

Quale potrebbe, dunque, essere l’esito della legge appena approvata dal Consiglio regionale della Toscana? Potrà rimanere vigente o sarà “declassata” a norma di dettaglio (utilizzando una terminologia costituzionalmente anacronistica, ma efficace) rispetto alla norma-quadro statale?

L’art. 1, rubricato come “Finalità”, presenta una citazione anomala: la normativa regionale di dettaglio non fa riferimento ad una normativa statale, che appunto è del tutto inesistente, bensì viene citato un orientamento giurisprudenziale.

Si tratta sicuramente di una particolarità importante, in quanto, essendo il nostro ordinamento non fondato sulla creatività giurisprudenziale che conia norme di legge, sembra quantomai opportuno mettere in luce come questo elemento sia la cristallizzazione evidente della crisi del parlamentarismo sulle questioni bioetiche.

Allo stato attuale, è del 15 febbraio scorso la presentazione del ricorso al Collegio di garanzia statutaria della Regione Toscana contro la legge appena approvata dal Consiglio regionale, sulla base di una proposta sollevata dal Centrodestra, attualmente minoritario su questa iniziativa legislativa.

Ebbene, l’opposizione ha proceduto in maniera tale da richiedere una valutazione della conformità della legge regionale sul fine vita allo Statuto della Regione Toscana, che, ad oggi, sta bloccando la promulgazione.

Sicuramente, una situazione anomala, in quanto si sta anteriorizzando un controllo di “statutarietà”, che collide con il principio del sindacato di costituzionalità successivo ed eventuale proprio della Corte costituzionale e che, probabilmente, prelude ad un giudizio in via principale dinanzi al Giudice delle leggi.

Nell’attesa di vedere come evolverà la questione, se lo Stato chiederà che venga sollevato il giudizio in via principale dinanzi alla Corte costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost. – come preannunciato – si devono evidenziare due aspetti, a parere di chi scrive.

In primo luogo, si è di fronte ad un’anomalia legislativa di non poco momento, poiché i ruoli tra Stato e Regioni si sono invertiti, essendo stata anteriore la disciplina regionale su quella statale.

Dipoi, si ribadisce quanto, ancora una volta, l’operato della Corte costituzionale si sia posto a presidio e custodia dei diritti fondamentali.  da parte del Parlamento.


Le immagini presenti nell’articolo non appartengono a Voci Costituzionali, ma ai rispettivi autori.