In qualità di specialista dei diritti fondamentali della persona umana, abbiamo chiesto al professor Xavier Bioy, Professore ordinario di Diritto pubblico, membro dell’Istituto Maurice Hauriou e vicepreside della Facoltà di Giurisprudenza di Tolosa, di approfondire la recente introduzione dell’interruzione volontaria di gravidanza nella Costituzione francese (il testo originale in francese si trova alla fine dell’articolo).
L’introduzione dell’interruzione volontaria di gravidanza nella Costituzione francese nel marzo 2024 (Loi constitutionnelle n° 2024-200 du 8 mars 2024), approvata a quasi sedici anni dall’ultima riforma (L. cost. del 23 luglio 2008), rappresenta la venticinquesima revisione costituzionale dal 1958. Può illustrarci i contenuti della riforma?
La legge costituzionale dell’8 marzo 2024 contiene un unico articolo che modifica l’articolo 34 della Costituzione e stabilisce che «La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza». Queste disposizioni mirano a chiudere la porta a qualsiasi restrizione di questo diritto, introdotto nel 1975. In termini legislativi, tuttavia, questo diritto è stato facilitato da allora. A livello costituzionale, già nel 1975 (CC, 15 gennaio 1975, dec. n. 74-54 DC, IVG I), il Consiglio Costituzionale ha dato una base costituzionale a questa libertà, che è stata chiarita nel 2001 (CC, 4 luglio 2001, dec. n. 2001-449 DC, IVG II): la libertà personale, più specificamente corporea, che la legge concilia con il principio della dignità della persona (più specificamente il principio legislativo del rispetto dell’essere umano fin dall’inizio della sua vita e la garanzia che la Nazione deve alla salute del bambino). Ha, inoltre, condizionato la costituzionalità della legge a una forma di equilibrio tra dignità e libertà, che è stata costantemente modificata dalle leggi successive a favore dell’autonomia della donna. Inoltre, le leggi sulla bioetica del 1994 (CC, 27 luglio 1994, dec. n. 94-343/344 DC, Bioetica I.) hanno screditato l’embrione.
Con tale legge costituzionale, la Francia è divenuta il primo Paese al mondo a sancire nella sua Costituzione la “libertà garantita” di una donna di abortire.
Lei ritiene che tale riforma introduca una nuova era del costituzionalismo liberale oppure la considera espressione di una scelta meramente simbolica?
In primo luogo, sembra che la Francia non sia un Paese all’avanguardia quando altri hanno costituzioni che forniscono anche una base testuale, certo più ampia del solo aborto, come i “diritti riproduttivi” [1].
In secondo luogo, occorre distinguere due aspetti: da un lato, la tendenza a moltiplicare l’elenco dei diritti soggettivi, in realtà specificando l’oggetto, la prerogativa, di diritti preesistenti (in Francia, la libertà personale/corporea offriva già questa possibilità) e, quindi, perdendo di vista la natura di principi di portata generale (nel senso di R. Alexy). D’altra parte, la stessa specificazione costituzionale dell’aborto.
Per quanto riguarda il primo punto, le costituzioni che enunciano lunghi cataloghi di diritti soggettivi, con un oggetto più o meno ristretto, sono sempre esistite, e in particolare dopo i movimenti di decolonizzazione. Questo è il risultato di particolari momenti costituenti. D’altra parte, le aggiunte ai testi più vecchi sono il risultato di altre considerazioni, come la sfiducia nella Corte costituzionale, il fatto che essa concentri il contenzioso costituzionale o che il controllo sia diffuso e lasciato alla discrezione di numerosi tribunali. Nel caso della Francia, si è verificata una combinazione di volontà politica circostanziale e di un movimento di fondo per criticare il Consiglio costituzionale. Dal punto di vista politico, l’assenza di una solida maggioranza politica per il Presidente Macron e il suo desiderio di apparire come un riformatore sociale nella tradizione di V. Giscard d’Estaing, hanno portato alla ricerca di temi sociali che lo legano all’ala sinistra e alla destra liberale. Una riforma che sembra aggiungere un diritto, senza costare nulla alla società, è un modo per guadagnare popolarità a breve termine. È stato così anche quando la procreazione medicalmente assistita è stata aperta a “tutte le donne”, single o sposate. L’attuale riforma è stata elaborata dai movimenti femministi e non è fortemente osteggiata, a causa della mancanza di coesione di altri valori che potrebbero andare nella direzione opposta. In generale, i francesi ritengono che le questioni morali non rientrino più nel progetto politico sostenuto dallo Stato. In questo senso, forse stiamo assistendo a un cambiamento del costituzionalismo.
È paradossale notare che in Francia la sentenza Dobbs è statapercepita come una manovra politica dei repubblicani reazionari e non come un modo per restituire potere agli Stati federati, e quindi alla democrazia di base, contro il governo dei giudici, in particolare dei giudici federali. A ciò si aggiunge la scarsa familiarità e la sfiducia dei francesi nei confronti delle norme costituzionali e dei giudici. Nel dibattito pubblico che ha preceduto la revisione, gli “esperti” interpellati hanno assunto posizioni spesso molto opposte sull’“esistenza” di un diritto costituzionale all’aborto, il che non ha fatto altro che rivelare l’insicurezza in cui sorgono queste questioni e, in definitiva, l’inadeguatezza della revisione costituzionale in Francia. Alcuni sostenevano che l’aborto non fosse in alcun modo protetto da un’inversione di tendenza da parte del legislatore (cosa falsa allo stato attuale della legge, ma che evidenzia il fatto che il giudice costituzionale non vorrebbe o non potrebbe contraddire una legge retrograda); altri sostenevano che lo fosse, ma che non fosse sufficientemente esplicito per non correre rischi; altri ancora sostenevano che si trattasse di una riforma “simbolica” necessaria dal punto di vista femminista. Tutto ciò convergeva verso una confusa sfiducia nei confronti del giudice costituzionale e, in ultima analisi, verso un vecchio riflesso costituzionalista francese: scrivere nei dettagli, sperando in questo modo di vincolare i futuri rappresentanti eletti, i giudici e i cittadini con il patto costituzionale. Anche in questo caso, il paradosso è sorprendente, perché proprio i movimenti più legati alla sovranità popolare e più diffidenti nei confronti dei meccanismi dello Stato di diritto (il testo e l’interprete del testo sono “contro” la spontaneità del popolo) sono stati i più ferventi sostenitori della riforma costituzionale, rivelando così la ”mossa politica” che questa revisione rappresenta. Questa strumentalizzazione della Costituzione è piuttosto un classico fallimento del costituzionalismo in Francia.
Sul secondo punto, il fatto di specificare e isolare l’aborto, soprattutto ponendolo come “escrescenza” dell’articolo 34 di cui non è l’oggetto, vi è un problema di redazione legislativa e un problema di “fondamentalismo”.
In primo luogo, quanto alla scelta della consacrazione. Sono state avanzate diverse proposte. Per alcuni, la necessità di inserirlo nella Dichiarazione del 1789 o nel Preambolo del 1946, parti dei nostri testi costituzionali che alla fine sono state ritenute intangibili; per altri, nel corpo stesso della Costituzione del 1958, nei primi articoli, che sono gli unici a presentare principi politici che sono anche diritti (laicità, natura sociale della Repubblica, principio di non discriminazione, ecc.); ma anche in questo caso l’aborto non è un principio, ma una prerogativa di accesso a una procedura medica, l’ambito era troppo diverso. Da qui l’idea di inserire l’emendamento nel titolo relativo all’autorità giudiziaria che, per complesse ragioni storiche e illogiche, ha già abbracciato la libertà individuale e il divieto di pena di morte; ma questo avrebbe dato l’impressione di una consacrazione minimale affidata alla sola tutela dei magistrati giudiziari (in contraddizione con il nostro sistema di divisione dei poteri con il giudice amministrativo). Si è quindi optato per l’articolo 34, perché evoca il ruolo dello strumento legislativo rispetto ai regolamenti emanati dall’esecutivo. Il comma 4 sull’aborto si colloca, quindi, tra l’elenco dei principi sociali coperti dalla legge e il ruolo delle leggi finanziarie. E l’aborto diventa un elemento della separazione dei poteri. Questa sola incongruenza, derivante da tale esitazione, dimostra che il diritto all’aborto ha davvero difficoltà ad essere una questione costituzionale.
In secondo luogo, per quanto riguarda l’identificazione del solo aborto. La revisione si concentra solo su questa prerogativa quando altri diritti o libertà bussano da tempo alla porta del testo costituzionale, a volte in misura molto maggiore. Ad esempio, il Comitato presieduto nel 2007-2008 dalla stessa Simone Veil (promotrice della legge sull’aborto del 1975) è stato chiamato a stabilire se fosse necessario e auspicabile redigere una nuova carta dei diritti, e ha constatato che i diritti erano adeguatamente tutelati [2]. Tuttavia, il diritto alla privacy, alla protezione dei dati, al domicilio, o semplicemente il diritto alla vita e il divieto di schiavitù, o anche il principio di dignità, non sono sanciti testualmente, ma solo dalla buona volontà del giudice costituzionale.
[1] D. Borrillo e Th. Perroud, “Dans certains Etats américains, c’est la liberté reproductive de chaque individu qui est constitutionnalisée”, Le Monde, Pubblicato il 19 aprile 2024.
[2] Riscoprire il Preambolo della Costituzione – Rapporto della commissione presieduta da Simone Veil, La Doc. française, 2008.
Può dirci quali conseguenze concrete potrebbe avere questa revisione costituzionale per la tutela e la garanzia della piena e completa protezione dell’interruzione volontaria di gravidanza in Francia?
Vi è un rischio reale nel cercare di determinare come verrà utilizzata la “nuova” disposizione. Abbiamo visto che alcuni la considerano “platonica”. Se accettiamo, realisticamente, che è in gran parte l’interprete a determinare il significato, e quindi la norma, di un enunciato, dobbiamo aggiungere alla semplice lettura del testo e ai dibattiti parlamentari, la consueta posizione del giudice costituzionale. Va da sé che alcuni partiti mobiliteranno rapidamente il nuovo testo e la nozione di “garanzia” per chiedere sia elementi di finanziamento e di politica pubblica a favore dell’accesso all’aborto sia garanzie legali di esecutività. Questi elementi erano già in discussione nel 2001 e nel 2021 come parte della legge sulla bioetica. Esse comprendono un’ulteriore estensione del limite temporale per il ricorso all’aborto, seguita dall’abolizione delle clausole di coscienza per il personale sanitario.
Per quanto riguarda il primo punto, il problema non è tanto se una maggioranza parlamentare lo approverebbe, ma se il giudice costituzionale lo considererebbe un’alterazione dell’equilibrio. La previsione è resa ancora più difficile dal fatto che l’introduzione di un diritto specifico all’aborto significa che potrebbe non essere possibile ragionare sulla base di un diritto costante, dal momento che i valori contrari all’aborto non sono stati specificati nel testo, anche se sono stati sanciti da questo “stesso giudice” che non sarà mai più lo stesso, né un altro. La considerazione dell’embrione o del feto potrebbe non avere più peso.
Sul secondo punto, le clausole di coscienza non sono meno minacciate politicamente. Inoltre, dalla legge del 7 luglio 2001, il capo di un dipartimento non può più opporsi alla pratica dell’aborto nel suo dipartimento per obiezione di coscienza. Certo, il Consiglio costituzionale ha dato alla clausola di obiezione di coscienza una certa base costituzionale, equiparando la libertà di coscienza all’articolo 10 del 1789. Nella sua prima decisione, IVG I [1], relativa alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, il Consiglio ha osservato che la legge “rispetta la libertà delle persone chiamate a ricorrere o a partecipare a un’interruzione di gravidanza (…) che, di conseguenza, non viola il principio di libertà di cui all’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”. La decisione IVG II [2] sottolinea il mantenimento della clausola [3]. Tuttavia, il giudice considera questi elementi, scelti dalla legge, come parte del controllo della proporzionalità della misura e non come un principio a sé stante. La sua tradizionale politica di “contenimento” in questi ambiti mina in larga misura l’idea di censurare l’eventuale soppressione di clausole da parte della legge.
[1] Decisione n. 74-54 DC, 15 gennaio 1975.
[2] Decisione n. 2001-446 DC, 27 giugno 2001, cons. 15.
[3] “che la sua libertà, che è una questione di coscienza personale e non può essere esercitata a scapito di quella degli altri medici e del personale ospedaliero che lavorano nel suo reparto, sia così salvaguardata”
Cosa pensa della decisione di promuovere una riforma costituzionale in risposta a quanto accaduto oltreoceano (la decisione Dobbs v. Jackson Women’s Health Organisation, con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti il 24 giugno 2022 ha sancito il cosiddetto overruling della storica decisione Roe v. Wade del 1973, decostituzionalizzando il diritto all’aborto)?
Trattandosi ovviamente di una forma di opportunismo politico, è un punto che è stato dibattuto in ambito accademico. Alcuni hanno denunciato una forma di “costituzionalizzazione per reazione”, che sarebbe inopportuna per un atto così solenne come la Costituzione e che banalizzerebbe un atto che dovrebbe (dal punto di vista della “moralità costituzionale”) rimanere eccezionale. Altri hanno insistito sull’assurdità di paragonare la situazione francese con il sistema americano, che è in netto contrasto dal punto di vista politico, sociale e giuridico. Più la dottrina spiegava che il “rischio giuridico”, per quanto impossibile da misurare e tutto sommato basso, non era nullo, più le argomentazioni politiche si dispiegavano e, paradossalmente, attestavano che il rischio politico era ancora più basso, dato che nessun partito politico prevedeva di rimettere in discussione la legge Veil. Alcuni rappresentanti eletti a favore si sono ridotti a dire che “se non cambia nulla, a maggior ragione bisogna farlo”.
Può spiegare la procedura con cui, ai sensi dell’articolo 89 della Costituzione, è stata approvata la riforma?
La procedura è stata molto convenzionale, anche se il governo ha dovuto prendere l’iniziativa di incorporare e superare i dibattiti generati dai vari disegni di legge precedenti presentati dai membri del Parlamento. La procedura di revisione è definita dall’articolo 89 della Costituzione del 1958. L’iniziativa spetta al Presidente della Repubblica, all’Assemblea o al Senato. Se la revisione è avviata dal Parlamento, deve essere approvata da un referendum. Se è avviata dal Presidente della Repubblica, può essere approvata tramite referendum o dai 3/5 dei membri del Parlamento, le due camere riunite in Congresso.
Il profilo notevole è che il processo di assunzione del controllo è stato estremamente rapido, poiché la data del Congresso di Versailles era nota prima dell’ultimo voto necessario al Senato, per il quale il governo aveva inizialmente contato i suoi sostenitori, prima che prendesse forma un più ampio movimento di sostegno. Il 4 marzo 2024, il Congresso ha approvato a stragrande maggioranza la legge con 780 voti favorevoli, 72 contrari e 50 astensioni. A ciò è seguita una curiosa “cerimonia” per suggellare il nuovo testo l’8 marzo 2024, Giornata dei diritti della donna. Per la prima volta, la cerimonia si è svolta all’aperto, in Place Vendôme, e in pubblico. Da un lato, il decoro che circonda l’apposizione dei sigilli al documento, alla presenza del Presidente della Repubblica, dall’altro, i cantanti pop che intonano canzoni che celebrano la gioia di poter abortire.
L’introduzione dell’interruzione volontaria di gravidanza nella Costituzione è stata oggetto di conflitto politico tra il fronte NUPES e quello repubblicano. Come valuta il passaggio da “diritto”, come proposto dagli Insoumis, a “libertà garantita”?
Questa formulazione, adottata a stragrande maggioranza, è il risultato di un compromesso: al Senato erano stati discussi due emendamenti: il primo mirava a cancellare la parola “garantita” dopo la parola “libertà” e il secondo proponeva di inserire nella Costituzione la clausola di coscienza per gli operatori sanitari. I senatori hanno pensato di poter “limitare i danni” accettando di costituzionalizzare la clausola, pur rifiutando l’idea di un “diritto” (esigibile e opponibile allo Stato). La maggioranza si è sentita vittoriosa facendo inserire il termine “garanzia”, che ottiene l’esatto contrario. Un affare da pazzi, senza dubbio, ma questo dipenderà dai futuri interpreti.
Il dibattito teorico sull’uso di “libertà” o “diritto” dipende da un insieme di elementi epistemologici. Così, un primo approccio, in due rami, propone di non separare, ma di distinguere: la “libertà” designa qualsiasi prerogativa accessibile al soggetto, ma si può parlare di “diritto” se devono essere fornite garanzie di concretizzazione. Il diritto oggettivo consente al soggetto di agire nei confronti di terzi, il che può essere definito un “diritto soggettivo”. Esistono due varianti di questo approccio. Una si basa sul contenuto, sull’oggetto della norma (più è identificabile, più è un “diritto”), l’altra sull’oggetto del diritto (più il titolare è libero di definire ciò che vuole inserire, più è un diritto). Per un secondo approccio, quello dell’assimilazione, da un punto di vista analitico non è possibile, o addirittura auspicabile, una distinzione rilevante tra diritti e libertà. In Francia, le libertà sono generalmente considerate come diritti soggettivi. Vi è sempre un elemento di scelta in un diritto e di opponibilità in una libertà. In Francia, la dicitura “diritto” o “libertà” sembra essere irrilevante per i testi e per i giudici, che li includono tutti nella loro revisione e si posizionano più che altro in termini di ufficio, a seconda dei tipi di procedure a cui possono accedere e dei poteri che hanno di imporre. Il dibattito è stato quindi molto bizantino.
Per molti aspetti, la questione del diritto o della libertà di interrompere la gravidanza ha già dato luogo a tali dibattiti: la depenalizzazione crea un diritto o una semplice “tolleranza”? Per alcuni, il divieto rimane la base e la depenalizzazione crea una libertà senza diritti; per altri, l’accumulo di garanzie di accesso alla procedura la rende un diritto (fondamento “positivo” in uno dei diritti fondamentali, il diritto alla privacy, la classificazione come “cura”, la copertura da parte dell’assicurazione sanitaria, i reati di impedimento, la responsabilità dello Stato in caso di rischio per la donna ne fanno un diritto, soggetto alla clausola di coscienza). Alle condizioni legali, quindi, si tratta di un diritto, incarnazione di una libertà fondamentale, ma che rimane in tensione con la protezione del feto. La sua opponibilità a tutte le parti dipende, in ultima analisi, dalla possibilità per i terzi di rifiutarsi di partecipare.
Antonia Maria Acierno
Dottoranda di Ricerca in Diritto costituzionale – Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
L’introduction volontaire de grossesse (IVG) dans la Constitution : un point de vue possible
Nous avons interrogé le Professeur Xavier Bioy, Professeur agrégé des Facultés de Droit public, Membre de l’Institut Maurice Hauriou et Vice-Doyen de la Faculté de droit de Toulouse, en tant que spécialiste des droits fondamentaux de la personne humaine, pour approfondir l’introduction récente de l’interruption volontaire de grossesse (IVG) dans la Constitution française.
L’introduction de l’interruption volontaire de grossesse dans la Constitution française en mars 2024 (Loi constitutionnelle n° 2024-200 du 8 mars 2024), approuvée près de seize ans après la dernière réforme (Loi constitutionnelle du 23 juillet 2008), représente la vingt-cinquième réforme constitutionnelle depuis 1958. Pouvez-vous décrire le contenu de la réforme ?
La loi constitutionnelle du 8 mars 2024 comporte un article unique, qui modifie l’article 34 de la Constitution pour y inscrire que « La loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté garantie à la femme d’avoir recours à une interruption volontaire de grossesse». Ces dispositions visent à fermer la voie d’une restriction à ce droit ouvert en 1975. Sur le plan législatif, il n’a pourtant pas cessé d’être facilité depuis.Sur le plan constitutionnel, dès 1975 (CC, 15 janv. 1975, déc. n° 74-54 DC, IVG I), le Conseil constitutionnel a donné un fondement constitutionnel à cette liberté, explicité en 2001(CC, 4 juillet 2001, déc. n° 2001-449 DC, IVG II.) : la liberté personnelle, plus spécifiquement la liberté corporelle, que la loi concilie avec le principe de dignité de la personne (plus spécifiquement le principe législatif du respect de l’être humain dès le commencement sa vie et la garantie que la Nation doit à la santé de l’enfant). Il avait aussi conditionné la constitutionnalité de la loi à une forme d’équilibre entre dignité et liberté, qui n’a cessé d’être modifié par les lois successives en faveur de l’autonomie de la femme. A cela s’ajoute la déconsidération dont l’embryon fait l’objet dans le cadre des lois de bioéthique de 1994 (CC, 27 juill. 1994, déc. n° 94-343/344 DC, Bioéthique I.).
Avec cette loi constitutionnelle, la France est devenue le premier pays au monde à inscrire dans sa constitution la “liberté garantie” pour une femme d’avorter. Considérez-vous que cette réforme introduit une nouvelle ère de constitutionnalisme libéral ou y voyez-vous l’expression d’un choix purement symbolique ?
D’abord, il semble que la France ne soit pas cet Etat précurseur lorsque d’autres disposent de constitutions offrant aussi des assises textuelles, certes plus larges que le seul avortement comme les “droits reproductifs”[1].
Ensuite, deux aspects sont à distinguer ; d’un côté, la propension à multiplier la liste des droits subjectifs, en réalité en spécifiant l’objet, la prérogative, de droits préexistants (en France la liberté personnelle/corporelle offrait déjà cette possibilité) et, donc en perdant de vue la nature de principes à portée générale (au sens de R. Alexy). D’un autre, la spécification constitutionnelle de l’IVG elle-même.
Sur le premier point, les constitutions qui déploient de longs catalogues de droits subjectifs, aux objets plus ou moins étroits, existent depuis toujours et particulièrement depuis les mouvements de décolonisation. Cela résulte de moments constituants particuliers. Différemment, les ajouts dans des textes plus anciens résultent d’autres considérations comme la méfiance à l’égard du juge constitutionnel, qu’il concentre le contentieux constitutionnel ou que le contrôle soit diffus et laissé à l’appréciation de nombreuses juridictions. Dans le cas français, on a assisté à la conjonction de volontés politiques circonstancielles et d’un mouvement de fond de critique du Conseil constitutionnel. Politiquement, l’absence de majorité politique ferme pour le Président Macron et sa volonté d’apparaître comme réformateur social dans la lignée de V. Giscard d’Estaing, conduisent à rechercher les sujets de société qui le relient à l’aile gauche en même temps qu’à la droite libérale. Une réforme qui semble ajouter un droit, sans rien coûter à la société, permet de s’offrir une forme de popularité à court terme. Ce fût aussi le cas de l’ouverture de la procréation médicalement assistée à “toutes les femmes”, seules ou mariées. La présente réforme a été travaillée par les courants féministes et se trouve sans opposition forte, faute de cohésion d’autres valeurs qui pourraient opérer en sens contraire. Les Français estiment généralement que les questions de morale ne sont plus de la compétence du projet politique porté par l’Etat. En cela, on se trouve peut-être face à une mutation du constitutionnalisme.
Il est d’ailleurs paradoxal de constater qu’en France, l’arrêt Dobbs a été perçu comme une manœuvre politique des républicains réactionnaires et non comme une manière de redonner du pouvoir aux Etats fédérés, donc à la démocratie de proximité, contre le gouvernement des juges, notamment fédéraux. A cela s’ajoute, la méconnaissance et la méfiance des Français vis-à-vis des normes et des juges constitutionnels. Dans le débat public préalable à la révision, les “experts” sollicités ont adopté des positions souvent très opposées quant à l’”existence” d’un droit constitutionnel à l’avortement, ce qui n’a fait que révéler l’insécurité dans laquelle ces questions se posent et, finalement, les insuffisances du contrôle de constitutionnalité en France. Certains affirmaient que l’IVG n’était en rien protégée contre un revirement du législateur (ce qui est faux en l’état du droit mais qui met en lumière que le juge constitutionnel ne voudrait pas ou ne pourrait pas contredire une loi rétrograde), d’autres affirmaient qu’elle l’était mais que sans que ce soit suffisamment explicite pour qu’il n’y ait aucun risque et d’autres encore, que c’était une réforme “symbolique” nécessaire du point de vue du féminisme. Tout cela convergeait vers une méfiance confuse à l’égard du juge constitutionnel et, in fine, vers un vieux réflexe constitutionnaliste et français : écrire dans le détail, espérant ainsi lier les futurs élus, juges et citoyens par le pacte constitutionnel. Là encore, le paradoxe est frappant car ce sont les mouvements, attachés à la souveraineté populaire, les plus circonspects envers les mécanismes de l’Etat de droit (le texte, l’interprète du texte étant “contre” la spontanéité du peuple) qui ont été les plus fervents acteurs de la réforme constitutionnelle, révélant ainsi le “coup politique” qu’est cette révision. Cette instrumentalisation de la Constitution est plutôt un travers du constitutionnalisme assez classique en France.
Sur le second point, le fait de spécifier et d’isoler l’avortement, surtout en le plaçant comme “excroissance” de l’article 34 dont ce n’est pas l’objet, il faut remarquer un problème de légistique et un problème de “fondamentalisation”.
D’abord quant au choix de consécration. Plusieurs propositions d’emplacement ont été avancées. Ainsi, pour certains, la nécessité de l’inscrire dans la Déclaration 1789 ou le Préambule de 1946, parties de nos textes constitutionnels finalement jugées intangibles; pour d’autres, dans le corps même du texte de la Constitution de 1958, dans les premiers articles, qui sont les seuls à présenter des principes politiques qui sont aussi des droits (laïcité, caractère social de la République, principe de non-discrimination…), mais là encore l’IVG n’est pas un principe mais une prérogative d’accès à un acte médical, les portées étaient trop différentes. D’où l’idée d’incorporer la modification au titre relatif à l’autorité judiciaire qui, pour de complexes raisons historiques et peu logiques, a déjà accueilli la liberté individuelle et l’interdiction de la peine de mort… mais cela aurait donner l’impression d’une consécration minimale et confiée à la seule protection des magistrats judiciaires (en contradiction avec notre système de répartition des compétences avec le juge administratif). Le choix de l’article 34 a alors été retenu, parce qu’il évoque le rôle de l’instrument législatif par opposition aux règlements qui émanent de l’exécutif. L’alinéa 4 sur l’IVG se trouve donc entre la liste des principes sociaux relevant de la loi et le rôle des lois de finances. Et l’avortement devient un élément de la séparation des pouvoirs. Cette seule incongruité, issue de telles hésitations, montre que le droit à l’IVG a vraiment du mal à être une question constitutionnelle.
Ensuite, quant au fait d’identifier l’IVG seul. Cette révision se focalise sur cette seule prérogative quand d’autres droits ou libertés frappent à la porte du texte constitutionnel depuis bien longtemps, parfois avec bien plus d’ampleur. Ainsi le Comité présidé en 2007-2008 par Simone Veil elle-même (porteuse de la loi IVG de 1975) devait déterminer s’il était nécessaire et souhaitable de rédiger une nouvelle déclaration des droits, et a estimé les droits convenablement protégés[2]. Pourtant le droit à la vie privée, à la protection des données, du domicile, ou tout simplement le droit à la vie et l’interdiction de l’esclavage, ni même le principe de dignité, ne sont consacrés textuellement mais seulement par le bon vouloir du juge constitutionnel.
[1] D. Borrillo et Th. Perroud, «Dans certains Etats américains, c’est la liberté reproductive de chaque individu qui est constitutionnalisée», Le Monde, Publié le 19 avril 2024.
[2] Redécouvrir le préambule de la Constitution – Rapport du comité présidé par Simone Veil, La Doc. française, 2008.
Pouvez-vous nous indiquer les conséquences concrètes que cette révision constitutionnelle pourrait avoir pour la protection et la garantie pleine et entière de l’interruption volontaire de grossesse en France?
C’est un réel risque que de vouloir déterminer les usages qui seront faits de la « nouvelle » disposition. On a vu que certains la jugent « platonique ». Si on l’on admet, avec réalisme, que c’est assez largement l’interprète qui fait la signification et donc la norme portée par un énoncé, il faut ajouter à la seule lecture du texte et des débats parlementaires, la posture habituelle du juge constitutionnel. Il va de soi que certains partis vont vite mobiliser le nouveau texte et la notion de « garantie » pour exiger à la fois des éléments de financement et de politiques publiques en faveur de l’accès à l’avortement et des garanties juridiques d’opposabilité. Elles étaient déjà en débat en 2001 et en 2021 dans le cadre de la loi de bioéthique. On pense d’abord à un nouvel allongement du délai de recours à l’IVG, puis à la suppression des clauses de consciences des personnels de santé.
Sur le premier point, la question n’est pas tant de savoir si une majorité parlementaire s’y résoudrait, mais de savoir si le juge constitutionnel y verrait une rupture de l’équilibre. La prédiction est d’autant plus difficile que l’irruption d’un droit précis à avorter ne permet peut-être pas de raisonner à droit constant, puisque les valeurs opposées à l’IVG n’ont, elles, pas été précisées par le texte, même si elles ont été consacrées par ce « même juge » qui ne sera jamais tout à fait le même, ni un autre. La considération accordée à l’embryon ou au fœtus, pourrait ne pas faire le poids désormais.
Sur le second point, les clauses de conscience n’en sont pas moins politiquement menacées. D’ailleurs, le chef de service ne peut plus s’opposer au nom de l’objection de conscience, à la pratique des IVG dans son service depuis la loi du 7 juillet 2001. Certes, saisi au titre de la violation de la liberté du praticien, le Conseil constitutionnel a donné à la clause de conscience une certaine assise constitutionnelle à travers la mise en parallèle de la liberté de conscience et de l’article 10 de 1789. Dans sa première décision IVG I[1] portant sur la loi relative à l’interruption volontaire de la grossesse, le Conseil a relevé que la loi « respecte la liberté des personnes appelées à recourir ou à participer à une interruption de grossesse (…) que, dès lors, elle ne porte pas atteinte au principe de liberté posé à l’article 2 de la DDHC ». La décision IVG II[2], souligne le maintien de la clause[3]. Mais, le juge regarde ses éléments, choisis par la loi, comme des éléments du contrôle de proportionnalité du dispositif et non comme principe à part entière. Sa politique de « retenue » traditionnelle en ces domaines hypothèque largement l’idée d’une censure de la suppression éventuelle des clauses par la loi.
[1] Déc. n° 74-54 DC, 15 janvier 1975.
[2] Déc. n° 2001-446 DC, 27 juin 2001, cons. 15.
[3] «qu’est ainsi sauvegardée sa liberté, laquelle relève de sa conscience personnelle et ne saurait s’exercer aux dépens de celle des autres médecins et membres du personnel hospitalier qui travaillent dans son service».
Comment appréciez-vous le choix de promouvoir une réforme constitutionnelle en réaction à ce qui s’est passé en outre-mer (l’arrêt Dobbs v. Jackson Women’s Health Organisation par lequel la Cour suprême des États-Unis a scellé, le 24 juin 2022, le soi-disant overruling de l’arrêt historique Roe v. Wade de 1973, déconstitutionnalisant le droit à l’avortement)?
S’agissant, évidemment, d’une forme d’opportunisme politique, c’est un point qui a été discuté par la doctrine. Certains dénonçant une forme de « constitutionnalisation par réaction », laquelle ne conviendrait pas à un acte aussi solennel que la Constitution et banaliserait un acte qui doit (du point de vue de la « morale constitutionnelle » demeurer exceptionnel). D’autres, ont insisté sur l’absurdité de comparer la situation française avec le système américain que tout oppose, tant politiquement, socialement que juridiquement. Plus la doctrine expliquait que le « risque juridique », quoique impossible à mesurer, et somme toute faible, n’était pas nul, plus les arguments politiques se déployaient et paradoxalement, attestaient que le risque politique était encore plus faible, aucun parti politique n’envisageant une remise en cause de la loi Veil. Certains élus favorables étant réduits à dire que « si cela ne change à rien, raison de plus pour le faire »…
Pouvez-vous expliquer la procédure par laquelle, conformément à l’article 89 de la Constitution, la réforme a été approuvée ?
La procédure a été très classique, bien que le gouvernement ait dû prendre la main pour intégrer et dépasser les débats occasionnés par diverses propositions de lois précédentes émanant des parlementaires. La procédure de révision est définie à l’article 89 de la Constitution de 1958. L’initiative revient soit au président de la République, soit à l’Assemblée, soit au Sénat. Si la révision est à l’initiative du Parlement, elle doit être approuvée par référendum. Si elle est lancée par le président de la République, elle peut être approuvée par référendum ou par 3/5e des parlementaires, les deux chambres réunies en Congrès.
Le point remarquable demeure l’extrême rapidité du processus de reprise en main, puisque la date du Congrès à Versailles était connue avant le dernier votre nécessaire du Sénat pour lequel le gouvernement comptait d’abord ses soutiens, avant qu’un mouvement plus large d’adhésion ne se dessine. Le 4 mars 2024, le Congrès, a très largement approuvé le projet de loi par 780 voix contre 72 et 50 abstentions. On a vu ensuite une curieuse « cérémonie » pour sceller le nouveau texte, le 8 mars 2024, journée des droits des femmes. Pour la première fois, elle a eu lieu en extérieur, sur la place Vendôme, et en public. D’un côté le décorum qui entoure l’apposition des sceaux sur le document, en présence du Président de la République, de l’autre des chanteurs de variété entonnant des chansons célébrant la joie de pouvoir avorter.
L’introduction de l’interruption volontaire de grossesse dans la Constitution a fait l’objet d’un conflit politique entre le front NUPES et celui des Républicains. Comment évaluez-vous le passage du « droit », proposé par les Insoumis, à la « liberté garantie »?
Cette formulation, adoptée à une écrasante majorité, résulte d’un compromis : deux amendements avaient été discutés au Sénat : le premier visait à supprimer le terme “garantie” après le mot “liberté” et le second proposait d’inscrire dans la Constitution la clause de conscience des professionnels de santé. Les sénateurs ont pensé “sauver les meubles”, en acceptant la constitutionnalisation tout en écartant l’idée d’un “droit” (exigible et opposable dont l’Etat serait débiteur). La majorité s’est estimée victorieuse en faisant inscrire le terme de “garantie” qui réalise l’exact contraire. Marché de dupes sans doute, mais cela dépendra des futurs interprètes.
Le débat théorique concernant l’usage de « liberté » ou de « droit » dépend d’un ensemble d’éléments épistémologiques. Ainsi, une première approche, en deux branches, propose, non pas de séparer, mais de distinguer : la « liberté » désigne toute prérogative accessible au sujet mais on peut parler de « droit » si des garanties de concrétisation doivent être apportées. Le droit objectif permet une action que le sujet peut opposer à des tiers, ce qu’on peut appeler un « droit subjectif ». Dans cette même approche, deux variantes existent. L’une fondée sur le contenu, sur l’objet de la norme (plus il est identifiable, plus il serait un « droit »), l’autre sur le sujet de droit (plus le titulaire est libre de définir ce qu’il veut y mettre, plus il s’agit d’un droit). Pour une seconde approche, celle de l’assimilation, d’un point de vue analytique, aucune distinction pertinente n’est possible, ni même souhaitable, entre droit et liberté. Ainsi, en France, les libertés sont pensées généralement comme des droits subjectifs. Il y a toujours une part de choix dans un droit et une opposabilité dans la liberté. La formulation en « droit » ou « liberté » semble d’ailleurs, en France, indifférente aux textes et aux juges qui les intègrent tous dans leur contrôle et se positionnent davantage en fonction de leur propre office, selon les types de procédures ouvertes et les pouvoirs dont ils disposent pour contraindre. Le débat était donc très byzantin.
A bien des égards, celle du droit ou de la liberté de l’interruption de grossesse a déjà donné lieu à de tels débats: la dépénalisation crée-t-elle un droit ou une simple « tolérance » ? Pour les uns l’interdit demeure la base et la dépénalisation crée une liberté sans droit, pour les autres, l’accumulation de garanties d’accès à l’acte en fait un droit (fondement « positif » dans un des droits fondamentaux, le droit au respect de la vie privée, qualification de « soin », prise en charge par l’assurance maladie, délits d’entrave, responsabilité de l’Etat en cas de risque pour la femme en font un droit, sous réserve de la clause de conscience). Il s’agit donc, dans les conditions légales, d’un droit, concrétisation d’une liberté fondamentale, mais qui demeure en tension avec la protection du fœtus. Son opposabilité à tous dépend, in fine, de la possibilité pour les tiers de refuser d’y participer.
