Oltre le criticità: quali opportunità dal possibile superamento del bicameralismo


ICON·S Italian Chapter “Politica e istituzioni tra trasformazioni e riforme

Università Bocconi di Milano – 13-14 settembre 2023

Panel “Presente e futuro del bicameralismo paritario, tra monocameralismo di fatto e ipotesi di riforma


È noto che il Parlamento opera da qualche decennio in una situazione di monocameralismo di fatto (1), come è fra l’altro dimostrato dall’utilizzo frequente di maxi-emendamenti e della questione di fiducia, dunque dal contingentamento dei tempi. La situazione sembra essersi peraltro aggravata a seguito delle riforme costituzionali del 2020 e del 2021 poiché la riduzione del numero dei parlamentari e il livellamento dell’elettorato attivo hanno reso le due Camere identiche nelle funzioni e nella forma (ferma la discrepanza dei 200 deputati).

Il monocameralismo in fieri (2) che ormai contraddistingue il nostro ordinamento pare, inoltre, in affanno nel contrastare le spinte “governocentriche” dell’Esecutivo, verosimilmente accentuate dalla dichiarata necessità di rispondere alle “emergenze” che negli ultimi anni si sono susseguite. La distanza fra “law in the books” e “law in action” appare ormai consolidata, tanto da indurre a sostenere che se si adattasse il diritto “in the books” a quello “in action” sarebbe forse possibile instaurare un modello parlamentare funzionante.

È noto che la seconda Camera era stata concepita, tra le altre cose, con l’obiettivo di agire come un meccanismo di raffreddamento [c.d. bicameralismo di garanzia (3)]; tuttavia, tale scopo non è mai stato pienamente realizzato poiché le differenze strutturali tra i due rami del Parlamento sono state notevolmente ridotte sin dall’inizio del funzionamento della forma di governo parlamentare (4). Pertanto, qualora si dovesse procedere a una riforma costituzionale in senso monocamerale, dovrebbero probabilmente essere ripensati anche i contrappesi istituzionali al fine di rafforzare i controlli di natura costituzionale e/o politica e le garanzie rispetto alle procedure parlamentari.

Il riferimento è, in particolare, all’applicazione più diffusa della regola della maggioranza qualificata, alla possibile introduzione del veto sospensivo-traslativo, a un dialogo più serrato con la Corte costituzionale assicurando al tempo stesso la proclamazione nel Testo fondamentale del principio della necessaria limitazione di ogni potere costituito (5). A tale fine, pare anzitutto necessario richiamare il valore della rigidità della Costituzione, il quale implica, ma non solo, la tutela delle minoranze rispetto alle possibili violazioni da parte della maggioranza parlamentare e il “raffreddamento” degli ambiti in cui si estrinseca la funzione di indirizzo politico mediante il controllo degli organi di garanzia.

Si tratta, com’è noto, di soggetti istituzionali ai quali è già attribuito il compito di attivarsi – attraverso l’esercizio di poteri e attività di controllo, di freno, di stimolo e di impulso delle attribuzioni di natura costituzionale – al fine di proteggere, promuovere, incentivare e rafforzare quell’unità rappresentata dall’organo che racchiude la volontà popolare. Si tratta, in primo luogo, del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale, ma anche del Consiglio superiore della magistratura (senza che in questa sede se ne possa discutere), i quali assicurano che gli obiettivi dell’indirizzo politico siano armonizzati con i principi costituzionali e ne supervisionino la determinazione per realizzare i fini indicati dalla Costituzione.

In un contesto parlamentare monocamerale gli organi di garanzia, per svolgere il proprio contrappeso, dovrebbero riuscire a realizzare l’indirizzo politico-costituzionale (6) attraverso il quale arginare almeno alcune prassi che nel tempo hanno accorciato la distanza tra l’istituzione politica e i poteri chiamati a sorvegliarla (7).

Non avendo lo spazio per poter riflettere attorno a tutte le conseguenze che un modello parlamentare monocamerale comporta, a partire dalle diverse maggioranze attraverso le quali procedere all’elezione degli organi di garanzia, sia sufficiente ricordare che nel tempo presente il Capo dello Stato talvolta si ingerisce nell’indirizzo di maggioranza al fine di stimolare la realizzazione degli imperativi indicati dalla Costituzione. Nella prospettiva qui sostenuta potrebbe pensarsi a uno slittamento dal rinvio in quanto strumento a carattere «riflessivo» (8) al veto qualificato «in quanto potere ostativo» (9), ovvero un atto di controllo più incisivo che, in limine litis, possa comunque essere superato dalla volontà politica se attorno al testo confluisce una maggioranza più elevata rispetto a quella relativa, riducendo verosimilmente le sovraesposizioni che non di rado rischiano di renderlo compartecipe della funzione deliberativa.

Rispetto all’organo giurisdizionale di garanzia, il “nuovo” rapporto con il potere rappresentativo potrebbe essere costruito su altri presupposti in ragione del diverso nesso esistente tra giurisdizione costituzionale e democrazia. Potrebbe essere recuperata la regola sancita dall’art. 136, secondo comma, Cost., il c.d. seguito delle sentenze della Corte costituzionale (10), affidando eventualmente a un organo endo-parlamentare, ad esempio la Commissione affari costituzionali, l’obbligo di analizzare la giurisprudenza costituzionale per una valutazione, naturalmente politica, del se e come sanare il vulnus rilevato dalla Corte. In questo modo poterebbe limitarsi l’attività di “supplenza” all’esercizio della funzione legislativa e perciò individuare nettamente i confini tra l’attività dell’indirizzo politico e quella degli organi di garanzia.

La rivisitazione del funzionamento di alcuni poteri che concorrono a definire la forma di governo potrebbe porre un freno alle prassi che in più di un’occasione hanno determinato l’allontanamento dai principi e dai valori indicati dalla Carta del ’48. Ciò potrebbe rivitalizzare il ruolo costituzionale del Parlamento e ripristinare la chiara distinzione tra funzione rappresentativa e di garanzia. Non si intende rinunciare a un rapporto dialettico rispetto alle decisioni assunte dagli organi di indirizzo politico; piuttosto, si vuole sottolineare l’importanza di assicurare il rispetto per il principio della separazione, ancorché bilanciata, dei poteri, che invece sembra essersi affievolita negli ultimi decenni.

Alessandra Mazzola

Dottoranda di Ricerca – Università di Napoli “Parthenope”


(1) Così come affermato da I. Massa Pinto, Il “monocameralismo di fatto” e la questione della perdurante validità della Costituzione, in Costituzionalismo.it, 3/2022, pp. 88-111.

(2) Cfr. C. De Fiores, Profili teorici e tendenze attuali del monocameralismo, in Costituzionalismo.it, 3/2022, p. 42.

(3) Cfr. G. Ferrara, Art. 55, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione. Le camere, I, Artt. 55-63, Bologna-Roma, 1984, p. 5.

(4) Sia sufficiente richiamare la legge costituzionale 9 febbraio 1963, n. 2 che ha disposto che anche il Senato della Repubblica sarebbe stato eletto ogni 5 anni come la Camera dei deputati anziché ogni sei; ha previsto un numero fisso di seggi per la Camera e per il Senato.

(5) In questi termini si veda lo studio di A. Apostoli, La necessità di ripensare il rapporto con gli “organi di garanzia” in un sistema parlamentare monocamerale, in Costituzionalismo.it, 3/2022, spec. pp. 61-86 e, ivi, M. Frau, Tendenze e prospettive del monocameralismo negli ordinamenti democratici, spec. pp. 136-141.

(6) Cfr. G. Silvestri, Il presidente della Repubblica, in S. Labriola (a cura di), Valori e principi del regime repubblicano, 3, Legalità e garanzie, Roma-Bari, 2006, p. 429.

(7) Sia sufficiente rimandare ai noti fenomeni delle c.d. promulgazioni dissenzienti e delle sempre più frequenti dichiarazioni di incostituzionalità a data fissa.

(8) M. C. Grisolia, Il rinvio presidenziale delle leggi, in Quaderni costituzionali, 2/1992, p. 215.

(9) A. Apostoli, La necessità di ripensare il rapporto con gli “organi di garanzia” in un sistema parlamentare monocamerale, cit., pp. 79-80.

(10) Cfr. per tutti L. Pegoraro, La Corte e il Parlamento. Sentenze-indirizzo e attività legislativa, Padova, 1987 e A. Ruggeri, Le attività «conseguenziali» nei rapporti fra la Corte costituzionale e il legislatore (premesse metodico-dogmatiche ad una teoria giuridica), Milano, 1988.